domenica 15 marzo 2020

Fine delle trasmissioni televisive di ciclismo.

Più passano gli anni e più lo spettacolo del ciclismo mondiale professionistico perde un po' del suo fascino, colpa del marketing che ne usa il palcoscenico, per farne una vetrina dei prodotti. Qualche emozione si, c'è ancora, ma è sempre meno folgorante rispetto ai fasti del passato. Assuefazione o livellamento nelle prestazioni ? Abbiamo ancora campioni, ma non hanno la personalità di quelli di ieri; durano una o due stagioni, e poi tornano "nell'ordinario". Lo confesso, non riesco più ad emozionarmi e anche per questo che non seguo più il ciclismo, soprattutto alla TV. Confesso di averci provato durante qualche tappa alpina, perché quelle di pianura, sono peggio del cloroformio; mi inducono prima un subitaneo torpore e poi mi gettano nelle braccia di Orfeo,  dal quale mi ridesto solo all'arrivo; mi riferisco specialmente a quelle interminabili e "piatte" del Tour de France, e non è un fatto attinente alla tipologia della tappa, no, mi piacciono le corse dell'USA Crits, la "formula 1" riservate a corridori funamboli e temerari. Non sopporto sentire chiacchierare della tecnologia dei prodotti usati dai corridori, quando bisogna raccontare la corsa, farlo non serve, è fuorviante, spesso non è corretto ! Le dirette alla TV devono farle solamente giornalisti, narratori provetti, la figura del commentatore tecnico non serve, "è contaminante", salvo una rara eccezione del passato. Si deve commentare solo il gesto sportivo, altro è marketing. Sarà che ho ancora nelle orecchie le "poesie" dello sport, narrate De Zan e Rino Tommasi, rispettivamente la voce del ciclismo e del pugilato leggendario, tanto per fare qualche nome, ma preferisco togliere inesorabilmente l'audio, alla televisione e rievocare la voce di De Zan: "Pantani, scatto secco di Pantani" ! Chi non lo ricorda ! Non mi riferisco ai più giovani, che comunque farebbero bene a rivedere quei commenti d'autore, ma a quelli più grandi che non hanno la cultura autentica del ciclismo e che non sanno distinguere il messaggio pubblicitario, dal racconto del ciclismo, tanto che alla fine, finiscono per ripeterlo acriticamente ( anche nelle guerre commerciali, sono i più deboli ad essere "colpiti"). Oggi mancano l'arte del commento del gesto atletico, la parola della corsa, l'impronta del narratore sportivo, il racconto suadente delle emozioni; questo rende eterno ed unico il racconto del ciclismo. Certo se rileggo gli scritti di Gianni Brera e di Pavesi, del Giro di allora, mi sento confuso; se rileggo "Coppi e il diavolo" mi sento a disagio per lo scialbo quotidiano. Mi accontenterei persino di qualcosa di meno, ma che fosse almeno di originale interesse mediatico. Fino ad allora, per me, le trasmissioni televisive sono terminate. Mi raccomando; imparate a distinguere la pubblicità dal giornalismo. Buon divertimento. Saluti ciclistici. 

1 commento:

  1. Il punto è che siamo fatti di emozioni e quando non vengono trasmesse tutto scema.
    Eslatare l'atleta e non il componente vizioso del marketing di turno.
    È come se in un'altra partita di calcio dei mondiali venissero esaltate le scarpe dei giocatori!

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