Ci sono immagini indelebili; ci sono immagini che sono la storia del ciclismo; ci sono immagini che vanno oltre il tempo.
Mi piace ricordare l'immagine di Marco Pantani, che "danza" sui pedali. Il Pirata non pedalava fuori sella come tutti i scalatori; no, egli aveva qualcosa in più, e non era solo una questione di stile personale, ma soprattutto tecnica.
Di solito, gli scalatori, sgambettano agili, e fanno oscillare, da destra a sinistra, la bicicletta, procedendo a scatti, inclinandola e riprendendola, in un continuo intercedere, di spostamenti e di rilanci; lo fanno per spingere meglio, e rilanciare con repentini scatti secchi; lo fanno per sfinire gli avversari; lo fanno perchè pesano poco e spingono forte nel rilancio, sedersi, e rilanciare quando l'avversario, ritorna a ruota. Lo fanno tutti, o quasi. Ma questo modo di pedalare limita lo scivolamento del tubolare sull'asfalto; il tubolare rotola sullo spigolo intero e non sulla parte centrale, a punta, aumentando la superficie di appoggio a riducendo il rotolamento. Fan tutti così, tranne uno.
Il Pirata era il Pirata anche nello stile di pedalare. La sua "danza" era tecnica e stilisticamente perfetta. Egli faceva in modo di sfruttare la minore superficie possibile, riducendo gli attriti. Bastava guardarlo da dietro; la sua bici aveva una prospettiva a "piombo" rispetto all'asfalto; era il Pirata quando si alzava sui pedali; non era la bicicletta a spostarsi da destra verso sinistra, come quelle degli altri corridori; la bicicletta di Pantani rimaneva sempre dritta, era solo lui a muoversi con il corpo, una volta di qua, una volta di là, rispetto alla gamba con la quale iniziava a "danzare". Questo suo modo atipico di procedere fuori sella, gli veniva meglio, tenendo le mani sotto il manubrio, ovvero con "le mani sotto". Non è facile farlo; occorre molta elasticità naturale, per riuscire a scattare sui pedali, con le mani sotto, e non con le mani sui comandi. Pantani sapeva che impugnando i comandi, nella parte alta, il corpo si spostava troppo avanti e andava fuori baricentro, con l'effetto di perdere aderenza con la ruota posteriore. Ecco che allora, fu il primo e forse l'unico, a "menare" con le mani sotto la curva, per riuscire a mantenere il corpo al centro del telaio e per l'effetto, a mantenere più aderente sulla strada, la ruota posteriore; una posizione più aerodinamica ( anche se in salita, si spinge non contro il vento, ma contro la forza di gravità), e per lui, solo per lui, più comoda. E così, che Pantani ci ha regalato le più belle emozioni, ha scritto tra le più belle pagine del ciclismo, pedalando fuori sella, con i suoi scatti secchi, uno, due, tre, quattro, volte, finchè il Pirata si toglieva dalla ruota gli avversari, vedendoli sfilare, in evidente fatica, mentre respiravano faticosamente con la bocca aperta, "boccheggiavano" come dico io; e poi, sempre tenendo le mani sotto, egli si girava, controllava, e ancora, di nuovo a scattare, uno, due, tre volte, per allungare sugli avversari. Chi non ricorda quello straordinario duello con Tonkov, a Montecampione, nell'anno della storica accoppiata Giro/Tour. Il russo della Mapei riuscì a tenere il testa a testa, per molti chilometri, ma alla fine, egli dovette sedersi e rialzarsi e vide Marco andarsene, con il suo ultimo scatto tremendo, che soffocò nella gola di Tonkov, ogni speranza di vincere la corsa rosa. Quello scatto con la quale Pantani si involò verso la vittoria in salita, lo ricorderò per sempre. Mi dispiace per i corridori di oggi, ma Pantani non era di questo pianeta, ciclisticamente parlando. Ci manchi Marco.
Saluti ciclistici.