giovedì 22 agosto 2024

Il doping nella giustizia sportiva e penale; tra doping inconsapevole non incolpevole e dolo.

Incipit. Mi è parso di cogliere molta disinformazione sull'argomento. Le notizie dilagano frenetiche e superficiali e così molte persone hanno perso l'abitudine di riflettere. Molto spesso, le informazioni si accavallano è finiscono avviluppate in un "non senso" ovvero in narrazioni parziali e confuse. E come sempre molte persone si fanno domande a cui non sanno dare risposte, finendo per confondersi e sbagliare. Quindi cercherò, in estrema sintesi, (non è facile, è materia complessa), di compendiare l'argomento in questo post. 

 Il ricorso al doping può determinare:

  • conseguenze sulla salute, che possono manifestarsi in cambiamenti del comportamento, dipendenza da sostanze e malattie croniche;
  • conseguenze psicologiche come depressione, sensi di colpa, crisi d’identità;
  • conseguenze economiche come ritiro di premi in denaro, perdita di contratti e sponsor;
  • conseguenze sociali come perdita di credibilità e rispetto da parte della famiglia, degli amici, della squadra, del pubblico fino all’isolamento dallo sport.

Sotto il profilo sportivo, la violazione delle norme sportive antidoping può includere:

  • la squalifica dei risultati ottenuti in una competizione inclusa la perdita di medaglie o trofei;
  • l’interdizione da qualsiasi attività sportiva (gare e allenamenti) fino a quattro anni o addirittura a vita;
  • la divulgazione al pubblico della violazione commessa.

Le conseguenze derivanti dal doping, non si limitano alle sanzioni  erogate dalla Giustizia sportiva, ma possono determinare, sul territorio nazionale, la configurazione di un reato e quindi anche sanzioni penali da parte dello Stato, non solo per reati commessi nel territorio nazionale. Da questa "doppia punibilità" rimane escluso il doping ricreativo e lo sport non CONI, punito con la sola norma penale statale applicata, anche al doping legato al mondo dello sport professionistico e  svolto nell'ambito di sport CONI. 

Infatti per la configurabilità del delitto di detenzione di sostanze farmacologicamente o biologicamente attive, previsto dall'art. 9, legge 14 dicembre 2000, n. 376 in materia di lotta contro il "doping" (fattispecie ora inserita nell'art. 586-bis cod. pen. che abroga la predetta e precedente norma), non è richiesto che l'attività sportiva sia svolta a livello professionistico o comunque agonistico - Corte di cassazione, sezione III penale, sentenza 29 maggio 2020 n. 16437. 

Secondo una sentenza di legittimità, risalente alla normativa citata, dalla punibilità penale, sarebbe escluso il cosiddetto doping estetico, cioè il doping assunto al di fuori delle attività sportive a livello agonistico (esempio assunzioni finalizzate al mero aspetto estetico del culturista che si esercita in palestra per motivazioni edonistiche). L'assunzione di sostanze dopanti a scopo estetico, se non collegata al profitto del risultato ottenuto nella competizione sportiva, non costituisce ricettazione di farmaci dopanti, anche se viene messa in pericolo la salute. E' quanto ha stabilito la Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza 9 gennaio 2013, n. 843. Successivamente, la medesima condotta è stata ritenuta invece rilevante sotto il profilo del reato di ricettazione previsto e punito dall'art. 648 c.p. dalla Cassazione Penale, Sez.III, sentenza 10.11.2016 n. 2640, ritenendo che l'acquisto consapevole di sostanze dopanti attraverso canali diversi dalle farmacie e dai dispensari autorizzati, effettuato con il fine specifico, non disconosciuto, di procurarsi il vantaggio di un miglioramento del proprio aspetto estetico, realizza il reato di ricettazione nella sua componente oggettiva e soggettiva. 

In particolare, la Cassazione penale, puntualizzava, in primo luogo, che in materia di lotta contro il doping, per la configurabilità del delitto di commercio di sostanze farmacologicamente o biologicamente attive, di cui all'art. 9, comma 7, l. 14 dicembre 2000, n. 376, non era richiesto il dolo specifico, essendo il commercio clandestino di tali sostanze punito indipendentemente dal fine specifico perseguito dal soggetto agente. Si trattava, infatti, di un reato di pericolo diretto a prevenire il rischio derivante dalla messa in circolazione di tali farmaci al di fuori delle prescrizioni imposte dalla legge. Il loro commercio, quindi, era sanzionato indipendentemente dal fine specifico del soggetto agente a differenza dalle ipotesi di cui al primo e secondo comma dell’art. 9 l. n. 376/2000. La Cassazione con la sentenza citata, rilevava come ai fini dell’integrazione del reato non fosse essenziale l’effettivo conseguimento del profitto, in quanto, lo scopo dell’incriminazione era reprimere il possesso di un bene di provenienza delittuosa, quando l’agente fosse a conoscenza di tale provenienza. Si evidenzia che il profitto avuto di mira nella ricettazione può consistere in qualsiasi utilità, anche di natura non patrimoniale od economica, idonea a soddisfare un bisogno umano, anche di tipo psichico (cfr., fra le altre, Cass., sez. II pen., 22 dicembre 2022, n. 14604. In senso contrario Cass., sez. II pen., 19 dicembre 2012, n. 843). Tale indirizzo è stato confermato dalle Sezioni Unite di Cassazione con una sentenza concernente la finalità di profitto nel furto (cfr. Cass. SS.UU. pen., 25 maggio 2023, n. 41570). 

ll doping in ambito sportivo era appunto originariamente disciplinato e punito dalla Legge 14 dicembre 2000, n. 376 in materia di tutela sanitaria delle attività sportive e di lotta contro il doping. Ma il quadro normativo è mutato. 

Le disposizioni penali ivi contenute sono state successivamente trasferite, per effetto dell’art. 2 del Decreto Legislativo 1 marzo 2018, n. 21 e in attuazione del c.d. principio di riserva di codice (art. 3-bis c.p.), nel Libro II, Titolo XII, Capo I, del codice penale, tra i delitti contro la vita e l'incolumità individuale.

In particolare, l’art. 586-bis c.p., in continuità normativa con il precedente art. 9 L. 376/00, punisce con la reclusione da tre mesi a tre anni e con la multa da Euro 2.582 a Euro 51.645 «chiunque procura ad altri, somministra, assume o favorisce comunque l'utilizzo di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive, ricompresi nelle classi previste dalla legge» ed in particolare dai decreti antidoping emessi periodicamente dal Ministero della Sanità ai sensi della L. 376/00 (cfr. da ultimo il DM 3 ottobre 2023), avuto riguardo alla lista delle sostanze vietate, ciclicamente aggiornata dalla World Anti-Doping Agency (WADA).

Tali condotte sono punite quando la cessione o l’utilizzo delle predette sostanze, «non siano giustificati da condizioni patologiche e siano idonei a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell'organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti, ovvero siano diretti a modificare i risultati dei controlli sull'uso di tali farmaci o sostanze» (comma 1).

La stessa pena si applica anche a chi adotta o si sottopone a «pratiche mediche» come ad esempio, le trasfusioni previste dalla legge antidoping, al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti ovvero di eludere i cd. drug test. (comma 2). Per entrambe le fattispecie è richiesto il dolo specifico come era già previsto dalla trasfusa norma dell'art. 9 della Legge 376/2000 e cioè "al fine di alterare le prestazioni agonistiche dell'atleta". 

Come precisato sopra, ed è meglio ribadirlo, la Corte di Cassazione, stabilisce che per la configurabilità del delitto “non è richiesto che l'attività sportiva sia svolta a livello professionistico o comunque agonistico” (Cass., sez. III pen., 21 gennaio 2020, n.16437. Nello stesso senso si è pronunciata la Cass., sez. III pen., 18 aprile 2023, n. 32963, potendo essere svolta quindi anche a livello dilettantistico. Pertanto l'uso di sostanze dopanti o droganti è punito in ogni ambito. 

Trattasi di un reato di pericolo finalizzato a punire la domanda che l’offerta di sostanze dopanti, per prevenire i rischi alla salute legati all'utilizzo e all'abuso di queste sostanze nelle attività sportive. L'art. 586 bis c.p.  aggrava la pena base quando il fatto produce un danno alla salute, se è commesso nei confronti di un minorenne o da un atleta professionista (comma 3) o da un esercente una professione sanitaria (commi 4 e 5)  e si applica soltanto allorché i fatti non integrino anche una più grave fattispecie di reato, come accade quando che nella lista ministeriale di farmaci e sostanze dopanti vi rientrano sostanze (per esempio l’amfetamina, la cocaina, i narcotici e i cannabinoidi) ricomprese anche nell’elenco delle sostante stupefacenti ai sensi del d.p.r. 309/1990 (Testo Unico della Droga). In tal caso la condotta sarà punita secondo le norme previste dal citato d.p.r in materia di sostanze stupefacenti e quindi troverà applicazione la più grave fattispecie incriminatrice di produzione, traffico e detenzione illecita (in quantitativi superiore alla  ai limiti massimi indicati con decreto ministeriale) di sostanze stupefacenti o psicotrope di cui all’art. 73 del testo unico citato, punita con la pena della reclusione da sei a venti anni e con la multa da Euro 26.000 a Euro 260.000. Se invece la quantità di droga, sarà inferiore ai limiti ministeriali, la condotta sarà punita a titolo di "fatto lieve" dal quinto comma dell'art. 73 del d.p.r. citato, con pena compresa tra 6 mesi e 4 anni. 

Da ultimo, il comma sette dell’art. 586-bis c.p. incrimina il commercio di farmaci e sostanze dopanti. In particolare, la fattispecie, in seguito alla sentenza n. 105 del 2022 della Corte Costituzionale,  punisce con la reclusione da due a sei anni e con la multa da Euro 5.164 a Euro 77.468 «chiunque commercia i farmaci e le sostanze farmacologicamente o biologicamente attive ricompresi nelle classi indicate dalla legge, che siano idonei a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell'organismo …attraverso canali diversi dalle farmacie aperte al pubblico, dalle farmacie ospedaliere, dai dispensari aperti al pubblico e dalle altre strutture che detengono farmaci direttamente destinati alla utilizzazione sul paziente». La Corte Costituzionale con la sentenza n. 105 del 9/3/2022 citata ha dichiarato incostituzionale tale comma, per eccesso di delega da parte del Governo, a seguito dell'inserimento del dolo specifico nell'ultimo comma dell'art. 586 bis c.p. rispetto al testo contenuto nell'art. 9 Legge 376/2000, il quale invece richiedeva il dolo generico. Tale intervento additivo da parte della Corte Costituzionale ha evitato la trasformazione del bene giuridico tutelato da quello della salute a quello del fair play delle manifestazioni sportive, evitando che ciò comportasse una abolitio criminis con riferimento alla condotta della commercializzazione delle sostanze dopanti, non dirette ad atleti impegnati in prestazioni agonistiche. Pertanto per effetto della predetta sentenza della Corte Costituzionale, la condotta di cui al comma 7 dell'art. 586 bis c.p. è punita indipendentemente dalla finalità di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti. 

Tale reato, assorbe i delitti di esercizio abusivo della professione di farmacista, di cui all'art. 348 c.p., e di somministrazione di medicinali in modo pericoloso per la salute pubblica, di cui all'art. 445 c.p. Infatti la Corte di Cassazione stabilisce che tra il reato di commercio di sostanze dopanti e quelli previsti agli artt. 348 e 445 c.p. “sussiste un rapporto di specialità, in quanto chi commercia farmaci e sostanze dopanti in difetto della prescritta abilitazione professionale realizza altresì, con la medesima condotta, il compimento di attività riservate alla professione di farmacista, ulteriormente ponendo in essere, qualora le sostanze medicinali non corrispondano in specie, qualità o quantità alle ordinazioni mediche, il comportamento sanzionato dal predetto art. 445 c.p.” (Cass., sez. III pen., 28 febbraio 2017, n. 19198).

Stante le numerose morti sospette dovute all'assunzione e/o abuso delle sostanze dopanti ( per lo più si tratta di medicinali utilizzati da persone sane) o droganti, come evidenziato dalle perizie medico-legali, la condotta del  fornitore delle stesse sostanze potrebbe astrattamente incorrere in una contestazione di morte come conseguenza di altro delitto ai sensi dell’art. 586 c.p., la quale norma punisce quando  da un fatto preveduto dalla legge come delitto doloso, deriva  - quale conseguenza non voluta -  la morte o la lesione di una persona.

Infatti mentre l’ipotesi di “lesione non voluta” è  assorbita nella circostanza aggravante prevista dall’art. 586-bis, comma 3, c.p. nel caso in cui dalla cessione/ somministrazione di sostanze dopanti «deriva un danno per la salute», l’ipotesi di “morte non voluta” è disciplinata proprio dal citato art. 586 c.p.

Si consideri infatti che, nell’analogo caso di morte dell’assuntore di sostanze stupefacenti, la Corte di Cassazione ha da tempo stabilito che la morte dell'assuntore della sostanza vietata “è imputabile alla responsabilità del cedente sempre che, oltre al nesso di causalità materiale, sussista la colpa in concreto per violazione di una regola precauzionale (diversa dalla norma che incrimina la condotta di cessione) e con prevedibilità ed evitabilità dell'evento, da valutarsi alla stregua dell'agente modello razionale, tenuto conto delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall'agente reale” (Cass., SS.UU pen., 22 gennaio 2009, n. 22676). Per esempio nella fornitura, senza precauzioni, ad un giovane inesperto di dosi eccessive di stimolanti o anabolizzanti, “l’evento sarà imputabile al cedente a titolo di colpa, ove dalle circostanze del caso concreto risulti evidente un concreto pericolo per l'incolumità dell'assuntore o comunque rimanga un dubbio in ordine alla effettiva pericolosità dell'azione, tali da dovere indurre l'agente ad astenersi dall'azione” (Cass., sez. V pen., 15 febbraio 2023, n.16930).

Ma cos'è che discrimina un illecito sportivo da quello penale ? 

La rilevanza dell’elemento psicologico del dolo per la giustizia penale statale ( art. 586 bis c.p.). 

Il reato di somministrazione di pratiche dopanti è punito a titolo di dolo specifico, in quanto, oltre alla consapevolezza di procurare ad altri o somministrare, assumere o favorire l'uso di farmaci ricompresi nelle classi previste dalla legge, che non siano giustificati da condizioni patologiche, l'agente deve avere l'intenzione di alterare la prestazione agonistica dell'atleta ovvero di modificare l'esito dei controlli su tali pratiche. - Corte di cassazione, sezione III penale, sentenza 9 luglio 2018 n. 30889

Per l'etero - doping (procacciamento, somministrazione, favoreggiamento dell'uso di farmaci o di sostanze proibite, adozione di pratiche mediche vietate) e l'auto - doping (assunzione di sostanze proibite, sottoposizione alle pratiche mediche vietate), è richiesto il dolo specifico ( al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti). Per il commercio di sostanze dopanti (ex art. 586 bis comma 7 c.p.) è richiesto invece il dolo generico. 

Per la giustizia sportiva invece rileva il principio della responsabilità oggettiva, adottato dalla NADA Italia, articolazione funzionale dell' Agenzia Mondiale Antidoping - WADA, la quale ha la responsabilità esclusiva della adozione delle norme sportive antidoping in conformità al Codice Mondiale Antidoping - WADA. 

Pertanto, per la giustizia sportiva, il doping inconsapevole non è incolpevole, in quanto, il principio di responsabilità oggettiva ivi adottato, prevede che gli ATLETI (professionisti, amatoriali e tesserati in associazioni sportive riconosciute dalle federazioni nazionali affiliate al CONI), sono gli UNICI RESPONSABILI della presenza nel proprio organismo di qualsiasi sostanza vietata, INDIPENDENTEMENTE dalle modalità con la quale sia arrivata o dall'intenzionalità di ingannare. L'atleta assume la responsabilità di ciò che ingerisce o assume. Un esempio, il caso Contador: quando non valse l'assunzione involontaria, ma il principio generale dell'assunzione inconsapevole non incolpevole CLICCA QUI . La difesa del campione spagnolo, asseriva l'assunzione involontaria di una sostanza classificata come dopante, rintracciata in quantità minima nelle urine, indicando  come causa, il consumo di carne bovina, acquistata in Paesi dove veniva legalmente somministrata agli animali da macello. Contador venne condannato e squalificato per doping, in forza della responsabilità oggettiva. 

Da ultimo, in estrema sintesi, bisogna evidenziare i rapporti tra il giudicato sportivo e quello penale. La violazione delle regole del gioco non comporta automaticamente l’addebito penale (Cassazione sentenza n. 37178/2022). Inoltre un concorso tra sanzione penale e sanzione sportiva potrà porsi soltanto per quei comportamenti ritenuti illeciti e sanzionati, tanto dall’ordinamento sportivo, quanto da quello statale. Si pensi alla c.d. pregiudiziale sportiva, cioè alla possibilità di adire il giudice statale una volta esauriti i gradi della giustizia sportiva, seppur nelle materie considerate rilevanti “per l’ordinamento giuridico della Repubblica”. Ai sensi dell’art 39 del codice di giustizia sportiva, il giudicato penale vincola il giudice sportivo, soltanto in relazione alla sussistenza del fatto o alla sua rilevanza penale, ma non in relazione alla qualificazione giuridica di quel medesimo fatto nell’ordinamento sportivo. 

Per quanto attiene ai rapporti tra illecito sportivo ed illecito penale può accadere: a) il fatto posto in essere può violare solo l’ordinamento sportivo e non quello penale e, pertanto, l’illecito sarà accertato e punito esclusivamente dal giudice sportivo; b) il fatto posto in essere può essere vietato tanto dalla normativa sportiva, che da quella penale e, in tal caso, gli organi di giustizia sportiva perseguiranno e sanzioneranno il fatto secondo le regole federali, mentre il giudice penale opererà alla stregua di quelle dell’ordinamento statale; c) per il fatto posto in essere, infine, il soggetto agente può venire condannato dal giudice penale ed assolto dal giudice sportivo con decisione divenuta irrevocabile

Quindi può sorgere, un problema di coordinamento tra i due procedimenti, sussistendo, una sostanziale autonomia tra il procedimento penale e quello sportivo; ma, se non determina problemi, il caso in cui entrambe le decisioni risultino essere concordanti nell’assolvere o nel condannare, sussiste invece, il pericolo che non si verifichi tale coincidenza Attesa la possibilità di revisione del giudicato penale nei casi previsti dal codice di procedura penale, secondo il disposto dell’art. 629 del c.p.p., possono essere oggetto di revocazione anche le decisioni assolutorie e definitive del giudice sportivo. 

In sintonia con gli art. 653 e 444-445 c.p.p., l’art. 38, comma 5, lett. a), il CGS (Codice Giustizia Sportiva) stabilisce che  “l’azione disciplinare è promossa e proseguita indipendentemente dall’azione penale relativa al medesimo fatto”Ferme restando, le ipotesi di sospensione dei termini di cui all'articolo 38, comma 5 CGS, il legislatore ha inteso ribadire, la autonomia dall’azione penale. Hanno, autorità di cosa giudicata nel giudizio disciplinare, quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e dell'affermazione che il reato è stato commesso: a) la sentenza penale irrevocabile di condanna (art. 39, comma 1, CGS); b) la sentenza irrevocabile di applicazione della pena di cui all’art. 39, comma 2, CGS, la cui logica si richiama alla previsione di cui all’art. 444, comma 2, c.p.p.; c) la sentenza di assoluzione che accerti che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso. Ma, al di fuori di queste ipotesi, e salva facendo quell’autonomia dell’ordinamento sportivo, l'autonomia fra procedimento penale e procedimento disciplinare serve per evitare pericolosi automatismi sanzionatori, come ribadito dalla giurisprudenza, anche costituzionale, in rapporto ad altri tipi di procedimenti disciplinari ( si veda Corte Costituzionale, 27 aprile 1993 n. 197).  

Consiglio la lettura della pagina dedicata alla tematica del doping CLICCA QUI . 

Liberatevi dalle droghe e dal doping, per vincere sempreSaluti ciclistici.  

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