lunedì 7 gennaio 2019

Cannabis Light e la Cassazione penale. Orientamenti ed intervento delle Sezioni Unite.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione penale si sono pronunciate sull'annosa questione della rilevanza penale della commercializzazione della cosiddetta cannabis light, all'indomani della legge n°242/2016 e del contrasto giurisprudenziale sorto in seno alla sesta sezione; lo hanno fatto a seguito della camera di consiglio del 30.5.2019.
Le Sezioni unite hanno affrontato la seguente questione:
«Se le condotte diverse dalla coltivazione di canapa delle varietà di cui al catalogo indicato nell'art. 1, comma 2, della legge 2 dicembre 2016, n. 242, e, in particolare, la commercializzazione di cannabis sativa L., rientrino o meno, e se sì, in quali eventuali limiti, nell'ambito di applicabilità della predetta legge e siano, pertanto, penalmente irrilevanti ai sensi di tale normativa».

L'informazione provvisoria diffusa, in attesa del deposito delle motivazioni, è la seguente:
«La commercializzazione di cannabis sativa L. e, in particolare, di foglie, inflorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell'ambito di applicazione della legge n. 242 del 2016, che qualifica come lecita unicamente l'attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel Catalogo comune delle specie di piante agricole, ai sensi dell'art. 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002, e che elenca tassativamente i derivati della predetta coltivazione che possono essere commercializzati; pertanto,integrano il reato di cui all'art. 73, commi 1 e 4, d.P.R. n. 309/90, le condotte di cessione, di vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L.,salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante».

I contrapposti orientamenti della Cassazione in seno alla sesta sezione penale, sono i seguenti:
    1) un orientamento prevede la liceità della sola coltivazione e destinazione di prodotti derivati, solo ai fini espressamente indicati dalla legge 242/2016 e non estensione analogica ad altre condotte aventi ad oggetto la cannabis, tra le quali la vendita e la detenzione, finalizzata al commercio, condotte che invece ricadono sotto la disciplina del DPR 309/90. L'esenzione dalla responsabilità penale è prevista solo per il coltivatore e non per chi ne faccia commercio, anche nel caso in cui il principio attivo sia inferiore allo 0,6%; nei confronti di quest'ultimi è quindi possibile disporre il sequestro probatorio ed amministrativo, con l'applicazione dell'art. 75 DPR 309/90 ( Cass. Sez. VI del 27.11.2018 n. 56737 e Cass. Sez. VI penale del 10.10.2018 n. 52003).
    La liceità del consumo della cannabis light è tuttavia ammessa sempre che non avvenga l'alterazione della sostanza, volta ad incrementare il THC successivamente all'acquisto dal coltivatore, sempre che il consumatore non abbia la consapevolezza di tale alterazione ad opera del commerciante che la ponga in vendita. Tuttavia il superamento dello 0,6% di THC non determina l'automatismo della rilevanza penale, dovendosi dimostrare ai fini della sussistenza dell'art. 73 DPR 309/90, tutti i presupposti della condotta, compreso quello dell'idoneità della sostanza stupefacente a produrre concretamente effetto drogante ( Cass. Pen. VI sezione del 22.1.2013 n. 8393).

    2) l'orientamento contrario nella sesta sezione penale della Corte di Cassazione si afferma con la sentenza n° 4920/2018 la quale ha stabilito che alla liceità della coltivazione della cannabis sativa L, alla stregua della legge del 2.12.2016 n° 242, discende quale corollario logico giuridico, la liceità della commercializzazione dei relativi prodotti contenente un principio attivo (THC) inferiore allo 0,6% e che pertanto non possono più essere considerate sostanze stupefacenti soggette alla disciplina del DPR 309/90, al pari delle altre varietà vegetali, che non rientrano tra quelle inserite nelle tabelle allegate al predetto DPR.
    La Corte di Cassazione con la sentenza n° 4920/18 ha ritenuto intrinsecamente lecita la sostanza proveniente da coltivazioni ammesse dalla L. n° 242/16 quindi con il contenuto di THC ( principio attivo) inferiore allo 0,6%, qualunque fosse la destinazione d'uso, compreso il fumo, avendo considerato che il limite dello 0,6% (THC), costituisse il limite minimo, al di sotto del quale, i possibili effetti droganti della cannabis non avrebbero dovuto essere considerati psicotropi o stupefacenti. Tuttavia tale valutazione operata dalla Cassazione, non è stata mai fatta anche dal legislatore con la legge n° 242/16, avendo considerato, di fatto, che la cannabis contenente livelli minimi di THC, non è destinata, nelle sue parti, come le foglie e infiorescenze, alla diretta assunzione delle persone, ma all'uso nel campo dei cosmetici e alla produzione di alimenti. Va detto che al momento non è stato emanato il decreto ministeriale, che avrebbe dovuto entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge n°242/16, definire i livelli massimi di residui di THC ammessi per gli alimenti. Pertanto va considerato che la finalità dell'assunzione per inalazione o ingestione della cannabis light, da parte delle persone, non rientra tra quelle previste dalla legge n°242/16. Del resto la sementa ( i semi) delle piante di cannabis non sono incluse nella tabella II allegata al D.P.R. N°309/90, diversamente dalle foglie, olio di resina ed infiorescenze, in modo da favorire la promozione della filiera della canapa, quale coltivazione in grado di contribuire alla riduzione dell'impatto ambientale, ed ad altre finalità agricole. Pertanto rientrerebbe nella punibilità prevista dall'art. 73 D.P.R. 309/90, la condotta di chiunque ceda la sostanza di tipo marijuana, a prescindere dalla quantità del principio attivo (THC) e dalla varietà delle piante di provenienza.

A seguito del menzionato contrasto giurisprudenziale, in seno alla 6^ sezione, è stato necessario, rimettere la questione innanzi alle sezioni unite, da parte della IV sezione con l'ordinanza di rimessione dell'08.2.2019, depositata il 27.2.2019 n° 8654. 

Detto ciò occorre fare una disamina necessaria. La normativa nazionale vigente prevede la distruzione delle piantagioni di cannabis quando il THC superi l'1%, sempre a norma della legge n° 242/16 e ciò nonostante che esse rientrino tra le varietà ammesse dalla normativa europea e siano sottratte al D.P.R. N° 309/90.
Va precisato che la legge n°242/2016, non contiene l'espressa statuizione dell'assenza di capacità drogante della cannabis nelle varietà comprese nel catalogo europeo che abbia un livello di THC inferiore allo 0,6%. Giova pertanto precisare quanto è previsto, in linea generale, nella legge n° 242/2016, la quale ha sancito la liceità della coltivazione di piante di cannabis delle varietà ammesse ed iscritte nel catalogo europeo delle varietà e delle specie di piante agricole, il cui raccolto è utilizzato nell'ambito dell'industria della canapa, purchè esse contengano un tasso THC inferiore allo 0,2%; la coltivazione, in questo caso, è consentita senza necessità di autorizzazione o comunicazione amministrativa; l'unico obbligo, in capo ai coltivatori, è quello di conservare i cartellini della sementa acquistata per un periodo non inferiore a 12 mesi e le relative fatture di acquisto per il periodo vigente dalla normativa fiscale ( art. 3). L'art. 4 comma 5 esclude invece la responsabilità penale dell'agricoltore che abbia operato nell'osservanza delle prescrizioni dettate dalla legge n. 242/2016, qualora dagli esiti dei controlli effettuati dalle autorità proposte, venga accertato che il contenuto complessivo di THC della coltivazione sia superiore allo 0,2%, ma entro il limite dello 0,6%; responsabilità esclusa in capo dell'agricoltore, anche nei casi in cui l'A.G. Disponga la distruzione obbligatoria della coltivazione quando la percentuale superi lo 0,6% ( art. 4 comma 7). Pertanto la pronuncia della Cassazione citata si inserisce nella lacuna normativa della legge citata, la quale non fa alcun riferimento agli eventuali profili di rilevanza penale della successiva commercializzazione dei beni così prodotti e derivati dalle coltivazioni lecite.

E' importante ricordare un altro precedente intervento delle Sezioni Unite, quello avuto con la sentenza Kremi del 24/6/1998, le quali statuirono la rilevanza penale della condotta della cessione pur se avente ad oggetto un quantitativo di sostanza stupefacente contenente un principio attivo tanto modesto da escluderne l'efficacia drogante, per effetto del principio logico giuridico, vigente in materia, secondo il quale, la nozione di stupefacente ha valore legale, nel senso che sono soggette al D.P.R. 309/90, tutte e sole le sostanze specificatamente indicate nelle allegate tabelle e che in assenza di una specifica indicazione parametrica da parte del legislatore, il tasso di efficacia drogante della sostanza deve ritenersi irrilevante ai fini della punibilità del fatto. La ratio. Le condotte sarebbero comunque idonee ad alimentare il mercato illecito della droga, e risulterebbero comunque lesive dei bei giuridici tutelati ( salute pubblica, ordine pubblico) a prescindere dalla capacità drogante della sostanza ceduta.
Da ultimo va comunque considerato che non essendo stata espressamente menzionata dalla legge n°242/16, tra le attività lecite, la commercializzazione al dettaglio della cannabis light, dovrà ritenersi penalmente rilevante.

Attendiamo il deposito delle motivazioni da parte delle Sezioni Unite per comprendere appieno il ragionamento fondante la sentenza suindicata.

Buon diritto. 

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