Le Sezioni Unite della
Corte di Cassazione penale si sono pronunciate sull'annosa questione
della rilevanza penale della commercializzazione della cosiddetta
cannabis light, all'indomani della legge n°242/2016 e del contrasto
giurisprudenziale sorto in seno alla sesta sezione; lo hanno fatto a
seguito della camera di consiglio del 30.5.2019.
Le
Sezioni
unite hanno
affrontato la seguente questione:
«Se
le condotte diverse dalla coltivazione di canapa delle varietà di
cui al catalogo indicato nell'art. 1, comma 2, della legge 2 dicembre
2016, n. 242, e, in particolare, la commercializzazione di cannabis
sativa L.,
rientrino o meno, e se sì, in quali eventuali limiti, nell'ambito di
applicabilità della predetta legge e siano, pertanto, penalmente
irrilevanti ai sensi di tale normativa».
L'informazione
provvisoria diffusa, in attesa del deposito delle motivazioni, è la
seguente:
«La
commercializzazione
di cannabis sativa
L.
e,
in particolare, di foglie, inflorescenze, olio, resina, ottenuti
dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non
rientra nell'ambito di applicazione della legge n. 242 del 2016,
che qualifica come lecita
unicamente l'attività di coltivazione di
canapa delle varietà iscritte nel Catalogo comune delle specie di
piante agricole, ai sensi dell'art. 17 della direttiva 2002/53/CE del
Consiglio, del 13 giugno 2002, e che elenca tassativamente i derivati
della predetta coltivazione che possono essere commercializzati;
pertanto,integrano
il reato di cui all'art. 73, commi 1 e 4, d.P.R. n. 309/90,
le condotte di cessione, di vendita e, in genere, la
commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti
derivati dalla coltivazione della cannabis
sativa L.,salvo
che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante».
I
contrapposti orientamenti della Cassazione in seno alla sesta sezione
penale, sono i seguenti:
1)
un orientamento prevede la liceità della sola coltivazione e
destinazione di prodotti derivati, solo ai fini espressamente
indicati dalla legge 242/2016 e non estensione analogica ad altre
condotte aventi ad oggetto la cannabis, tra le quali la vendita e la
detenzione, finalizzata al commercio, condotte che invece ricadono
sotto la disciplina del DPR 309/90. L'esenzione dalla responsabilità
penale è prevista solo per il coltivatore e non per chi ne faccia
commercio, anche nel caso in cui il principio attivo sia inferiore
allo 0,6%; nei confronti di quest'ultimi è quindi possibile
disporre il sequestro probatorio ed amministrativo, con
l'applicazione dell'art. 75 DPR 309/90 ( Cass. Sez. VI del
27.11.2018 n. 56737 e Cass. Sez. VI penale del 10.10.2018 n. 52003).
La
liceità del consumo della cannabis light è tuttavia ammessa sempre
che non avvenga l'alterazione della sostanza, volta ad incrementare
il THC successivamente all'acquisto dal coltivatore, sempre che il
consumatore non abbia la consapevolezza di tale alterazione ad opera
del commerciante che la ponga in vendita. Tuttavia il superamento
dello 0,6% di THC non determina l'automatismo della rilevanza
penale, dovendosi dimostrare ai fini della sussistenza dell'art. 73
DPR 309/90, tutti i presupposti della condotta, compreso quello
dell'idoneità della sostanza stupefacente a produrre concretamente
effetto drogante ( Cass. Pen. VI sezione del 22.1.2013 n. 8393).
2)
l'orientamento contrario nella sesta sezione penale della Corte di
Cassazione si afferma con la sentenza n° 4920/2018 la quale ha
stabilito che alla liceità della coltivazione della cannabis sativa
L, alla stregua della legge del 2.12.2016 n° 242, discende quale
corollario logico giuridico, la liceità della commercializzazione
dei relativi prodotti contenente un principio attivo (THC) inferiore
allo 0,6% e che pertanto non possono più essere considerate sostanze
stupefacenti soggette alla disciplina del DPR 309/90, al pari delle
altre varietà vegetali, che non rientrano tra quelle inserite nelle
tabelle allegate al predetto DPR.
La
Corte di Cassazione con la sentenza n° 4920/18 ha ritenuto
intrinsecamente lecita la sostanza proveniente da coltivazioni
ammesse dalla L. n° 242/16 quindi con il contenuto di THC (
principio attivo) inferiore allo 0,6%, qualunque fosse la
destinazione d'uso, compreso il fumo, avendo considerato che il
limite dello 0,6% (THC), costituisse il limite minimo, al di sotto
del quale, i possibili effetti droganti della cannabis non avrebbero
dovuto essere considerati psicotropi o stupefacenti. Tuttavia tale
valutazione operata dalla Cassazione, non è stata mai fatta anche
dal legislatore con la legge n° 242/16, avendo considerato, di
fatto, che la cannabis contenente livelli minimi di THC, non è
destinata, nelle sue parti, come le foglie e infiorescenze, alla
diretta assunzione delle persone, ma all'uso nel campo dei cosmetici
e alla produzione di alimenti. Va detto che al momento non è stato
emanato il decreto ministeriale, che avrebbe dovuto entro sei mesi
dall'entrata in vigore della legge n°242/16, definire i livelli
massimi di residui di THC ammessi per gli alimenti. Pertanto va
considerato che la finalità dell'assunzione per inalazione o
ingestione della cannabis light, da parte delle persone, non rientra
tra quelle previste dalla legge n°242/16. Del resto la sementa ( i
semi) delle piante di cannabis non sono incluse nella tabella II
allegata al D.P.R. N°309/90, diversamente dalle foglie, olio di
resina ed infiorescenze, in modo da favorire la promozione della
filiera della canapa, quale coltivazione in grado di contribuire alla
riduzione dell'impatto ambientale, ed ad altre finalità agricole.
Pertanto rientrerebbe nella punibilità prevista dall'art. 73 D.P.R.
309/90, la condotta di chiunque ceda la sostanza di tipo marijuana, a
prescindere dalla quantità del principio attivo (THC) e dalla
varietà delle piante di provenienza.
A seguito del menzionato contrasto giurisprudenziale, in seno alla 6^ sezione, è stato necessario,
rimettere la questione innanzi alle sezioni unite, da parte della IV
sezione con l'ordinanza di rimessione dell'08.2.2019, depositata il
27.2.2019 n° 8654.
Detto
ciò occorre fare una disamina necessaria. La normativa nazionale
vigente prevede la distruzione delle piantagioni di cannabis quando
il THC superi l'1%, sempre a norma della legge n° 242/16 e ciò
nonostante che esse rientrino tra le varietà ammesse dalla normativa
europea e siano sottratte al D.P.R. N° 309/90.
Va
precisato che la legge n°242/2016, non contiene l'espressa
statuizione dell'assenza di capacità drogante della cannabis nelle
varietà comprese nel catalogo europeo che abbia un livello di THC
inferiore allo 0,6%. Giova pertanto precisare quanto è previsto, in
linea generale, nella legge n° 242/2016, la quale ha sancito la
liceità della coltivazione di piante di cannabis delle varietà
ammesse ed iscritte nel catalogo europeo delle varietà e delle
specie di piante agricole, il cui raccolto è utilizzato nell'ambito
dell'industria della canapa, purchè esse contengano un tasso THC
inferiore allo 0,2%; la coltivazione, in questo caso, è consentita
senza necessità di autorizzazione o comunicazione amministrativa;
l'unico obbligo, in capo ai coltivatori, è quello di conservare i
cartellini della sementa acquistata per un periodo non inferiore a 12
mesi e le relative fatture di acquisto per il periodo vigente dalla
normativa fiscale ( art. 3). L'art. 4 comma 5 esclude invece la
responsabilità penale dell'agricoltore che abbia operato
nell'osservanza delle prescrizioni dettate dalla legge n. 242/2016,
qualora dagli esiti dei controlli effettuati dalle autorità
proposte, venga accertato che il contenuto complessivo di THC della
coltivazione sia superiore allo 0,2%, ma entro il limite dello 0,6%;
responsabilità esclusa in capo dell'agricoltore, anche nei casi in
cui l'A.G. Disponga la distruzione obbligatoria della coltivazione
quando la percentuale superi lo 0,6% ( art. 4 comma 7). Pertanto la
pronuncia della Cassazione citata si inserisce nella lacuna normativa
della legge citata, la quale non fa alcun riferimento agli eventuali
profili di rilevanza penale della successiva commercializzazione dei
beni così prodotti e derivati dalle coltivazioni lecite.
E'
importante ricordare un altro precedente intervento delle Sezioni
Unite, quello avuto con la sentenza Kremi del 24/6/1998, le quali
statuirono la rilevanza penale della condotta della cessione pur se
avente ad oggetto un quantitativo di sostanza stupefacente contenente
un principio attivo tanto modesto da escluderne l'efficacia drogante,
per effetto del principio logico giuridico, vigente in materia,
secondo il quale, la nozione di stupefacente ha valore legale, nel
senso che sono soggette al D.P.R. 309/90, tutte e sole le sostanze
specificatamente indicate nelle allegate tabelle e che in assenza di
una specifica indicazione parametrica da parte del legislatore, il
tasso di efficacia drogante della sostanza deve ritenersi irrilevante
ai fini della punibilità del fatto. La ratio. Le condotte sarebbero
comunque idonee ad alimentare il mercato illecito della droga, e
risulterebbero comunque lesive dei bei giuridici tutelati ( salute
pubblica, ordine pubblico) a prescindere dalla capacità drogante
della sostanza ceduta.
Da
ultimo va comunque considerato che non essendo stata espressamente
menzionata dalla legge n°242/16, tra le attività lecite, la
commercializzazione al dettaglio della cannabis light, dovrà
ritenersi penalmente rilevante.
Buon diritto.
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