mercoledì 12 agosto 2015

Pedalando nella storia: il velocipede dei fratelli Michaux (1861) e labicicletta di Ugo Bertarelli (1920).

E' il velocipede, la creazione meccanica, più vicina alla bicicletta moderna. Venne inventata nel 1861 dai fratelli Michaux. 
E' la bicicletta appartenuta al corridore Ugo Bertarelli (1910-1930), che gareggiò nel periodo a cavallo tra il 1920 e 1930. La bicicletta ha le ruote in legno e i tacchetti dei freni in sughero; non era munita di cambio, quello venne inventato, qualche anno dopo, da Tullio Campagnolo. 

venerdì 7 agosto 2015

I Serrai di Sottoguda in bicicletta. L'incontro con Ombretta.

Si narra:- “A monte di Sottoguda, un portale di bronzo segnava l’inizio del regno di Re Ombro. Questi, che aveva una figlia bellissima, Ombretta, si era risposato con una donna che la odiava. Quando Ombretta venne chiesta in moglie da un principe, la matrigna chiamò una strega e la fece trasformare in pietra sulle rupi della Marmolada. Solo un pastore riuscì a sentire il suo flebile canto disperato..” 
Quella mattina, ebbi la sensazione che la voce di Ombretta, mi chiamasse, mentre attraversavo la gola alpina, quasi accarezzato dalle imponenti ed affascinanti pareti di roccia, che si ergono maestose, così vicine, le une dalle altre, da sembrare un abbraccio ai viandanti. La sua voce, mi giunse disperata, nel fragore delle cascate, raccolte nel torrente Pettorina, diventato un rivolo di lacrime che scivolano via dalla bella roccia; poi la udii, mesta e flebile, in prossimità della cappella. Capii che Ombretta fosse roccia e lì, nei Serrai, ogni cosa ne rispettava il dolore; persino la luce del giorno era tenue. In quello straordinario luogo, la bellezza struggente di Ombretta si univa al suo tragico mistero. Ebbene sono sicuro di essere riuscito ad ascoltare, nella gola, la voce di Ombretta, che mi parlava del suo dolore. Le apparsi, un cavaliere, sulla scoscesa strada delle Alpi, che conduce alla Marmolada, la signora di roccia e di ghiaccio, che vive nel punto più alto delle Dolomiti. Lasciai, la sfortunata principessa Ombretta, con un triste pensiero, e il suo sguardo e la sua bellezza, porterò per sempre con me. 
Il reportage del giro ciclistico dolomitico 2015 CLICCA QUI

L'entrata con pedaggio (2 €)
Pedalare e fotografare sulla rampa dei Serai




Foto sui miei inseguitori mentre pedalavo






La foto ricordo con la principessa Ombretta

Il torrente Pettorina

giovedì 6 agosto 2015

Dolomiti Bike Action 2015:Passo Xon, Passo Campogrosso, Serrai di Sottoguda, Passo Fedaia, Passo Pordoi.


L'abbraccio della Marmolada al ciclista indomito
Il ciclista nel mirino, lo si va a prendere.
Attacco sulle pendenze arcigne dei Serrai di Sottoguda ( in più scatto con macchina digitale sulla spalla).
Serrai di Sottoguda: pedalo e scatto foto su pendenze superiori al 10% !
....strudel  !!!!!!!!!!!

Passo Xon

Pordoi ( Cima Coppi): la posa di rito davanti alla bicicletta donata da Simoni.

                                       
                                       


                                           

E' l'alba sulle Dolomiti. Un aquila volteggia sulle cime rosa, presagio di caccia. Il suo grido echeggia nella vallata. Non molto lontano, sul versante delle Piccole Dolomiti, il grido dell'orso sembra rispondergli, squarciando il silenzio. Nella vallata il vento accarezza le onde del lago. L'attesa è terminata. Lassù, stanno per salire, tre ciclisti feroci ed ostinati pronti a sputare la fatica dai polmoni. Ciclisti non della domenica, ma per vocazione esistenziale, per gioco del destino, per smania di libertà. Ci sono ciclisti che non hanno bisogno di una maglia per sentirsi parte di un gruppo ideale. Insieme ritorneremo sulle sacre montagne, versando un tributo di fatica e di coraggio. Un occasione che ha la valenza di un dono amicale, a prescindere dall'impresa sportiva. Il significato dei nostri incontri, è quel salire insieme, lungo un percorso, che assomiglia alla vita, i chilometri, come i giorni, per arrivare sulla cima, per essere più vicini all'azzurro; in fondo è tutta lì la nostra missione: donarci un sorriso e pedalare verso il cielo. La  montagna è riflessione sulla vita; e per questo mi concedo un attimo per buttare giù qualche riga, sul blog, e seguire il mio pensiero nei suoi voli esistenziali. Ecco la storia del cacciatore di salite CLICCA QUI .
Il giorno prima, mi attorciglio come un serpente, in una sorta di meditazione e di stretching estremo, nella speranza di rivitalizzare muscoli segnati da anni di dure salite; sto per iniziare la caccia grossa sulle alture e anche questa volta la caccia sarà dura. Il caldo non aiuta la performance, anzi, la diminuisce. Ma anche questo fa parte della sfida con se stessi. In più, c'è da testare un telaio top di gamma, il BMC SLR01 CLICCA QUI che merita di essere “ascoltato” con attenzione, nonostante l'impegno agonistico e l'assemblaggio con rapporti diversi, più lunghi, che richiedono maggiore sforzo e almeno un periodo di adattamento, ma non c'è tempo. Una cosa non di poco conto, se si pensa che, la scala dei rapporti è determinante. Ma ho deciso di affrontare una doppia sfida ovvero una sfida dura in condizioni tecniche più gravose e nulla può fermarmi. 
Questa volta gli obiettivi sono tre, da affrontare in due giorni successivi: Passo Campogrosso da Recoaro Terme, 12 km, pendenza media del 9% e pendenza massima 16%; Passo Fedaia, tra le più dure salite d'Europa, da Caprile, 14,1 km, pendenza media 7,5 %, pendenza massima 18%.; Passo Pordoi da Canazei ( Cima Coppi), 13 km, pendenza media 6,47%, pendenza massima 9%.
Il primo giorno si va per le Piccole Dolomiti, direzione, Montecchio Maggiore, Trissino, Priabona, Monte di Malo, Monte Magrè, Magrè, Schio, Torrebelvicino, Valli del Pasubio, Passo Xon, Recoaro Terme ( attacco della salita finale), Passo Campogrosso ( 1457 metri), Pian delle Fugazze, S, Antonio, Valli del Pasubio, Schio, Maio, Isola Vicentina, Castelnuovo, Costabiscara, Biron, Olmo, Montecchio Maggiore, per un totale di 125,5 km, 1807 metri di dislivello.
E' un percorso duro che non lascia respiro, con un dislivello impegnativo. Il GPM è Passo Campogrosso, preso dal versante più duro, quello da Recoaro Terme: 12 km, senza tregua, pendenza media al 9% e massima al 16%. E' la salita regina della provincia di Vicenza, e si trova sotto le vette delle Piccole Dolomiti; viene affrontata nel mezzo del giro circolare, e prima del GPM, occorre conquistare traguardi intermedi, impegnativi, come Monte di Malo, Monte Magrè, Passo Xon, rampe, un susseguirsi di sali e scendi, per le vallate del Pasubio che richiede una concentrazione continua. Molto suggestiva l'ascesa verso il passo Campogrosso. Una volta in cima, vento fresco e vista panoramica suggestiva. La parte iniziale e finale del percorso, purtroppo, è ad alto rischio, per il traffico veicolare intenso, che da queste parti, sembra non finire mai, su strade strette, percorse con incoscienza da automobilisti e camionisti, che non mostrano rispetto e considerazione per i ciclisti, sorpassandoli pericolosamente, in modo radente. Bastardi. Maledetti idioti. Che il colesterolo e l'infarto vi colga, senza pietà, come quella che non mostrate verso chi ha coraggio di salire in sella ad una bicicletta. Per questo motivo, si è deciso di tagliare verso le montagne, rendendo il percorso più duro, ma meno pericoloso. Rampe continue, e tratti in falso piano, caratterizzano la prima parte. Poi inizia l'ascesa verso passo Xon, prima di scendere, lungo una discesa tecnica, fino a Recoaro Terme, dove è posto l'attacco della salita, il GPM, passo Campogrosso, una salita di assoluto rispetto, impegnativa e con paesaggio suggestivo. Francamente resto meravigliato dal fatto che Campogrosso, non sia stato percorso dal Giro d'Italia, ma considerato che il passaggio della corsa rosa comporta dei costi a carico dell'ente territoriale, eccone spiegato il motivo. Comunque lo segnalo agli organizzatori, nel caso che non lo conoscessero direttamente, nonostante che sia la montagna più ambita dai ciclisti nella provincia di Vicenza. Ma in fondo, questo vale per molte altre salite, dure, e suggestive per il panorama, che non essendo state rese note dal Giro d'Italia o da altre corse, rimangono, immeritatamente, sconosciute ai più.
La salita verso il passo Campogrosso lunga 10 km, inizia con una rampa che passa repentinamente dal 7% , 8% e 9%, e poi prosegue incessantemente al 9%, 10%, senza scendere mai, intervallata da un tratto dove si sale al 15%. Se la salita è all'8%, significa che ogni 100 metri percorsi, ci si alza verticalmente di 8 metri ! Se è al 15%, invece ogni 100 metri ci si alza di 15 metri ! Quando inizia un serie di undici tornanti si giunge al tratto che attraversa il bosco, al riparo dai raggi diretti del sole. La pedalata prosegue lungo una salita implacabile; si sale di quota costantemente e il paesaggio diventa inevitabilmente più brullo. Due gallerie, brevi, e fresche, intervallano gli ultimi due tornanti, prima dell'arrivo, al rifugio Campogrosso.  Come previsto dal rito dei Kannibali, si ordinano gli strudel. Rimango estasiato dal paesaggio che mi circonda, e mi accorgo della vera bellezza del Pasubio, le cui cime si stagliano imponenti, tra la foschia e le nuvole, su cui soffia il vento fresco. Foto di rito e si riprende la discesa, ma non posso esimermi dal fermarmi per gustarmi, ancora, il panorama, dall'altro versante, composto da un laghetto e dalle cime. Chiamo i due Kannibali, che mi precedevano, pedalando uno accanto all'altro, intenti a dialogare in dialetto veneto, ma non mi sentono. Allora, una giovane signora, intenta a camminare appoggiata alle racchette, insieme alla famiglia, gli urla di fermarsi. Immagino che i due Kannibali, abbiano sentito, solo nel momento in cui, il loro dialogare fitto e animato, si sia interrotto; e finalmente tornano indietro, e un romano, dice: “ Ao' tu ce' l'hai sempre sotto er naso ste montagne, noi a Roma quando lè vedemò...faglielè vedè con carma “. Riprendiamo la marcia imboccando una discesa tecnica su un manto stradale non liscio, che si snoda lungo una carreggiata stretta. Si giunge al Pian delle Fugazze, dove un vento forte, ci sposta il manubrio dalle mani ! Ritorno sul passo un anno dopo, per uno strano gioco del destino, questa volta da un altro versante. Inizia una discesa veloce resa pericolosa, dal traffico veicolare, caratterizzato per lo più, dall'incapacità di guidare e dalla prepotenza di alcuni conducenti di camion ed auto, che ci sfiorano. Il tratto successivo da Schio e fino a Montecchio Maggiore è contraddistinto dall'intensificarsi del traffico e dal vento che ci soffia costantemente contro, in pratica una salita, aggiunta al falsopiano.
Il giorno seguente, senza riposo, ma con l'adrenalina a mille, si parte per le Dolomiti per un percorso circolare preso in direzione, Alleghe, Caprile, Serrai di Sottoguda, Bivio del Passo Fedaia, Passo Fedaia (2054 metri), Canzei, Passo Pordoi ( 2242 metri), Arabba, Livinallongo, Pian di Salisei, Disonera, Caprile e Alleghe, per un totale di 74,1 km e 1845 metri di dislivello. In pratica è un sali e scendi incessante, spesso contro vento. Si pedala tra le cime dolomitiche e boschi alpini, che regalano uno scenario unico e di una bellezza straordinaria. Più bella cosa non c'è. Peccato per le auto e le moto, il cui pedaggio tasserei per limitarne l'uso. A proposito di pedaggi, per quanti volessero pedalare nella suggestiva ed impegnativa, gola dei Serrai di Sottoguda, chiusa al traffico, occorre pagare 2 € !! E pensare che la bicicletta non inquina. La premessa: dai Serrai di Sottoguda e fino al passo Fedaia, non è possibile alcun recupero, le gambe sono sempre in tensione e la schiena si indurisce allo sforzo continuo. I scalatori soffriranno di meno, ma ricordate che TUTTI, soffrono. Pedalare in quota non è come giocare al calcio, se smetti di pedalare, cadi. Prima di arrivare alla sbarra, si attraversa un piccolissimo centro, Rocca Pietore, pedalando sul pavè. Un pupazzo travestito da vecchietta, sembrava salutarmi, seduto sulla sedia di paglia, dal pianerottolo della casa. Si ha la sensazione che il pasino sia abitato da spettri. I Serrai di Sottoguda sono attraversati da un torrente, e le pareti alte 60 metri sono larghe pochi metri. Il tracciato è quello derivante dai lavori avvenuti durante la prima guerra mondiale, la cui testimonianza è lasciata da alcune gallerie adibite a polveriere e ad una cappella a ricordo del cimitero militare di Malga Ciapela. I Serrai di Sottoguda hanno un percorso lungo 1,7 km con pendenza media dell'8% e pendenza massima dell'11% . Si sale, schivando pedoni, distratti dalla bellezza del posto, coperti dal fragore del torrente, che scorre sotto i ponticelli, lambendo le pareti rocciose. Le zone d'ombra si alternano a quelle esposte al sole che mi colpisce con un caldo secco. L'unico tornante presente sul percorso, sale improvvisamente, prima di giungere alla sbarra finale, che si supera pedalando, ma con destrezza, per non cadere; ancora qualche metro e poi si svolta a destra e si arriva al segnale di stop. dove c'è il bivio che congiunge la deviazione dei Serrai di Sottoguda, alla strada provinciale. Qui inizia il tratto più devastante per le gambe e la schiena, sempre in tensione, costretto a pedalare per non perdere l'equilibrio. Da Malga Ciapela e fino alla Capanna Bill, inizia un tratto di una durezza impressionante, da salire anche con la testa, un   "drittone", che sembra non finire mai, sotto il sole, con pendenze che raggiungono il 18%, al termine del quale, iniziano alcuni tornanti, che conducono alle ultime rampe, tra il 10% e il 13%, senza sosta, un inferno. Si procede fuori sella. E' un esercizio di gravità, dove il peso e i rapporti sono determinanti. Su queste pendenze arcigne riesco ad allungare, ricevo il cambio; doppiamo tre  ciclisti sofferenti che fanno zig e zag sulla strada per non cadere. Non salutano, sono stravolti. Il Vecchia mi fa da guida ed è meglio di un navigatore: in tempo reale, e senza approssimazione, mi indica le pendenze e il chilometraggio. E' fondamentale conoscere il percorso per ponderare energie e potersi "godere" al meglio la salita. Ma il Fedaia, lo ripeto, è un inferno; c'è da solo da spingere, con le gambe e con la testa, per arrivare in cima. Non a caso che il Passo Fedaia, è considerato una delle salite più dure d'Europa. Procedendo verso gli ultimi tornanti, si nota che il dislivello si alza ancora e la sfida si fa più dura ed implacabile: non si molla mai. Il silenzio ci circonda. La tensione e la concentrazione è alta. Ogni movimento superfluo può determinare tensioni muscolari eccessive. Sorseggio dalla borraccia, ma l'acqua è diventata calda. Come è prassi, allungo la mia digitale, a Luciano, in modo che ci preceda, per immortalare il “cinque” che scambio all'arrivo di ogni salita. Rallentiamo per permettergli di allungare e prepararsi allo scatto e sarà ancora una volta perfetto nell'esecuzione. L'ultimo tornante e poi il cartello del passo e il rifugio. Foto e selfie ricordo. La vetta della Marmolada, spruzzata di neve, la diga e quel cielo sempre più vicino, non li dimenticherò mai; è' stato come sentirmi accarezzare la spalla sinistra, mentre scendevo lungo la salita. La discesa è veloce e mi dispiace lasciare presto quella vetta maestosa. Giunti all'attacco del Pordoi, dal versante più impegnativo, mi metto in testa a fare ritmo.  I tornati sono tanti e i cartelli  che li numerano si susseguono ad una buona velocità'. Una volta in cima, troviamo il traffico turistico.  Foto di rito e via per la discesa, con le marmotte che fischiano. Fino ad Alleghe, i tornanti stretti,  girano intorno alla pendenza della montagna. La strada è rovinata. Ritorno ad Alleghe dove partimmo qualche anno prima per il primo giro dolomitico. E come da tradizione i Kannibali ordinano due mega strudel. Io bevo una Lemon soda. La marcia prosegue lungo un falsopiano dove rilancio costantemente e via, a tutta prima dell'ultimo tratto della discesa; gli altri hanno deciso di ingaggiare un duello a folle velocità, non c'è spazio per tutti e tre, la carreggiata è' stretta e senza protezione. Allora scendo senza rilanciare; mi prendo il tempo per salutare i caduti della prima guerra mondiale sepolti nel cimitero della valle; è il centenario dell'entrata in guerra dell'Italia, tanto diversa, da allora, con più italiani coraggiosi e patrioti; quei ragazzi meritano rispetto per il sacrificio dato per il nostro futuro e oggi sprecato dalla cattiva politica nazionale e dall'ignoranza dell'italiano medio. La discesa prosegue attraversando due piccole gallerie di cui una buia, che il buon Vecchia mi illumina con i suoi consigli di esperto del territorio. Arriviamo al bivio per il Fedaia, attraversato qualche ora prima, e tiro, nel saliscendi fatto a tutta, su piccole rampette alternate a discese brevi (quanto mi piace rilanciare sulle pendenze !!!). Attraversiamo le vie strette del paese di Caprile e arriviamo sul falsopiano che da Alleghe ci porta al parcheggio delle auto:si vola approfittando di una pausa del traffico. Vento forte e volata finale che mi concedo a mani alzate, per la gioia di avere vissuto giorni indimenticabili. Le immagini montane di questi giorni, sono poesia e bellezza autentica, delle quali ne conservo, il volo fatto di sogni e di ricordi. 
Alcuni consigli tecnici per i lettori.
CLICCA QUI, per sapere, perchè rapporti agili (corti), sviluppano velocità maggiori in salita, oltre ad affaticare in misura minore, la muscolatura. Il periodo delle pedalate in quota è stato interessato, da un ondata eccezionale di caldo, tra i 32° C e 36° C. Pedalare con il caldo comporta un diminuzione delle prestazioni; infatti non solo fa sudare, ma quando la temperatura esterna supera i 27° C le prestazioni possono peggiorare del 20%, condizione aggravata nel caso in cui ci fosse anche l'umidità; infatti, quanto più umidità c'è, tanto più il sudore, prodotto dal corpo, fa fatica ad evaporare e quindi a raffreddarsi e quindi a raffreddare il corpo. Tuttavia sulle salite alpine l'aria è molto secca. Regola fondamentale:  bere nella misura necessaria a reintegrare i liquidi perduti; per esempio un uomo di 70 kg, peso medio, che pedala per un ora, a 32° C, perderà circa 1,5 litri di liquidi. Qualcuno penserà che avrà perso di conseguenza, anche 1.5 kg di peso corporeo; una perdita effimera, in quanto dovrà assumere liquidi, non solo per reintegrarli, ma anche per potersi raffreddare, in modo da scongiurare seri problemi alla salute. Un altro modo in cui il corpo usa raffreddarsi, è quello di erogare sangue nei tessuti esterni, in modo che per radiazione e scambio di calore con l'esterno, questo si raffreddi. In sostanza, il cuore lavorerà di più, e i battiti medi al minimo possono crescere fino a 20 di più del normale. Dunque in tale condizione, il cuore lavorerà al 15% di più del normale per potere portare più sangue ai tessuti, in modo da raffreddarli, e meno ai muscoli, che sono meno ossigenati, meno tonici e quindi meno performanti. Un tale situazione va monitorata, al fine, di evitare una situazione di emergenza, che può colpire tutti, anche i più allenati. Chiusa parentesi.  
I giorni d'estate sono fatti per essere ricordati; questi che ho raccontato anche per essere dedicati ai miei cari amici vicentini, compagni di salita. Sè Bòn come dicono a Vicenza. Alla faccia dei GUFI.
Rapporti usati nel tour dolomiti: semi compact 52/36 - 11/28.  
Saluti ciclistici.

mercoledì 5 agosto 2015

Il cacciatore di salite.


La montagna è la cattedra della saggezza; il luogo della preghiera dove l'uomo incontra Dio; il rifugio dell'asceta; il luogo dell'insegnamento del vivere. L'altura è di per sé pace e bellezza. La montagna conserva la morte, sulla quale l'uomo issa la croce. La montagna non è per tutti, ma per coloro che la conquistano. Ogni giorno trascorre nel desiderio, di ritornare da Lei. Il cacciatore di salite non è un cacciatore di animali. Il cacciatore di salite non compra la vita di un animale, ostentando una forza che non possiede per carattere e per fisico; nessuna persona ha bisogno di un arma da fuoco, per sopravvivere se fosse dotato di forza ed intelligenza. Il cacciatore di salite è invece un ciclista particolare, unico, che ama la montagna e la sogna. Per carattere assomiglia ad un larice, l'albero principe delle Alpi: è solitario, è venuto su, nelle difficoltà della vita, e riuscendo a sopravvivere, si è fatto tenace e non molla mai. Vive nelle stille del suo sudore, segno dei chilometri che passa in quota, nella fatica, come quella di vivere, nella tenacia che lo rende indomabile. La montagna è anche pericolo, quello che lo rende, ogni volta, un pò più forte. E come, gli alberi, silenti spettatori, e come le marmotte, che gli fischiano il saluto, come ogni essere vivente che vive in quota, il cacciatore di salite, ha bisogno della montagna e gli parla, proprio come una sirena di mare parla ai navigatori. Un richiamo misterioso che gli accende l'anima e libera la forza dei muscoli e della mente, rendendolo invulnerabile alla fatica. Il cacciatore di salite avverte il mutare delle pendenze, come una scossa di adrenalina, che gli va dritto fino al cuore e al cervello, generando un corto circuito. Il cacciatore di salite rispetta la montagna e per questo l'affronta con umiltà e prudenza; la montagna non perdona la tracotanza. In ogni fibra dei muscoli egli ha inciso delle tacche, che segnano le cime conquistate. Per questo assomiglia ad un rocciatore, altra creatura alpina, separati solo dagli strumenti di lavoro: egli non ha imbraghi, moschettoni e chiodi, ma la bicicletta. Li accomuna il rischio che ogni volta, quella salita, possa essere l'ultima. Il cacciatore di salite, lo riconosci per la struttura nervosa, agile e leggera; per la capacità di gestirsi durante lo sforzo, di pedalare senza mai andare in riserva, di ascoltare la forza dei muscoli, gestendone i movimenti e lo sforzo, per evitare crisi e perdita di lucidità, per il coraggio di salire ancora una volta, e poi ancora un altra, in un rigenerarsi senza fine. La montagna non stima i ciclisti comuni, quelli che pur di arrivare prima, pedalano al di sopra dei propri limiti, mancando di rispetto per se e per compagni. Il cacciatore di salite arriva dritto tra le braccia della montagna, sorridendo, e respirandone i profumi. Egli è un innamorato della roccia, del cielo, dei colori e dei profumi della natura. Il cacciatore di salite viene dal mare, e la montagna era il mare.
Arriverà il tempo in cui, non riuscirà più a sopportare il tempo. Nell'ultimo momento, prima di ritornare nel Nulla, sentirà di non avere il rammarico, di chi ha pagato e conservato nella vita, quello che non avrà più alcun valore, e l'orgoglio di salire per l'ultima volta, pedalando verso il cielo, con dignità e silenzio. Ecco perché sono il cacciatore di salite.