Un altro capolavoro da collezionare per chi ama la bicicletta, il ciclismo eroico e la cultura. Le parole scritte da Brera vanno decantate come un buon vino; esigono un diverso approccio, piu' lento, piu' pensato, per potere apprezzarne al meglio, la forza e la profondità. Fa parte della cosiddetta Trilogia dei ciclisti, insieme ai libri Coppi e il Diavolo e il Gigante e la Lima ( dedicato a Tullio Campagnolo). L'Avvocat in Bicicletta ( che è stato ripubblicato più tardi con il titolo Addio Bicicletta) narra la storia di Eberardo Pavesi; un romanzo vero che commosse il grande Mario Soldati e altri scrittori. Nel romanzo, Gianni Brera, ha raccontato l'epopea della povera gente attraverso i ricordi trasfusi nella gloria del ciclismo eroico, quello che percorreva 400 km per una tappa del Giro; quello che correva sui lati delle strade sterrate e dissestate; quello che non si dopava; quello che non aveva l'ammiraglia al seguito; quello fatto di piccoli eroi dal doppio lavoro (Ganna era un muratore che ogni giorno percorreva 100 km da Induno Olona a Milano e ritorno); quello che non aveva massaggiatori, medici e preparatori; quello che pedalava su macchine, come venivano chiamate allora, che pesavano 15 chili.
Inizio la recensione, diciamo step by step, il libro lo merita perchè ogni pagina è da incastonare. L'importanza di questo libro, nasce dal fatto, che nelle sue pagine, scritte da Brera, intervistando Pavese, c'è la storia delle origini del ciclismo professionistico italiano, il quale nacque per iniziativa di un gelataio, tale Granida: egli fece iscrivere alcuni ragazzi milanesi, ad una corsa, in piena città, sfruttando la competizione, per fini commerciali; in buona sostanza, fu una corsa clandestina, senza autorizzazione, senza pubblicità e senza vigili a garantire l'incolumità degli spettatori. Ognuno dei corridori si assumeva il rischio e il pericolo per se e la bicicletta, alcune volte prestata, dai primi artigiani, che le costruivano assemblando telai con i pezzi che avanzavano. Una promozione pubblicitaria sul campo di battaglia, perchè quelle prime corse, erano delle vere e proprie competizioni, con tanto di accordi e di strategie. Erano strade, quelle solcate dai primi temerari, dissestate, sulle quali non si riusciva a pedalare; si sfruttavano solo i paracarri, posti lateralmente. Una bicicletta costava dalle 130 lire della Bianchi alle 200 lire delle Raleigh, Peugeot e Goericke; il pane costava diciotto centesimi il chilo; un chilo di carne costava una lira; un operaio comune guadagnava un salario di circa due lire; uno specializzato invece due lire e cinquanta. La storia delle prime biciclette dal peso di circa 16 chili, si intreccia con quella dell'Italia dell'800, povera e provinciale ( direi che nel 2013 nulla è cambiato in tal senso). Tutto ebbe inizio in queste strade cittadine polverose ed insicure. Interessanti e direi enciclopediche le spiegazioni e le sperimentazioni delle prime tattiche del futuro ciclismo, pianificate poco prima e durante la corsa da quei temerari e formidabili ragazzi. Una storia di amicizia perchè la bicicletta , unisce ciò che la vita può dividere. Come quella che nacque tra il muratore Ganna, il Pavese e Galetti: il Bing Bang del ciclismo, quelli del mitico Club Granada di Piazza d'Armi. E tutto si compie in un mondo che moriva, sotto la spinta dell'"umana esaltazione di superarsi", una sfida contro la "mortale stanchezza di uomini", in sella al mezzo "nuovo" inventato per "superare lo spazio". E già all'epoca chi andava in auto ( pochi per la verità), era considerato un "velleitario...troppo distanti dal popolo per sentirne gli umori". I ciclisti di allora erano dei temerari che sfidavano "un tempo che muore", " dall'alto del...sellino" con la "inconscia baldanza di chi segnala nuovi fati al mondo", "perchè la bicicletta" e' "...una ragione d'essere.". Ma l'Italia di allora era molto povera e si correva con la fame che torceva le "budella". Si parla della "cotta", delle conseguenze delle terribili cadute senza casco ovvero la morte sicura, dei tubolari, che all'inizio si montavano solo sulla ruota posteriore e di quelli Continental da 950 grammi . Corse oggi impensabili, senza assistenza, su strade polverose e dissestate. Come quella chiamata XX Settembre, che partiva da Roma, passa a Terracina e arrivava a Napoli per poi ritornare, ripercorrendo la stessa strada, per un totale di 460 km !!! Ma è la Francia la patria del ciclismo, dal quale i ciclisti italiani, impareranno molto. Nel 1903 l'avvocato Henri Desgrange inventa il ciclismo agonistico con il Tour de France e il ciclismo francese d'allora era diviso tra i team della Alcyon e della Peugeot. Già la Francia : con lo zabaione, la maglia con la tasca posteriore, i premi di ingaggio, le banane, la leggenda del Tour, dove apparve la prima salita affrontata in corsa, La Grande Chartreuse, le strade asfaltate, ii ciclisti italiani, gregari dei primi campioni del ciclismo francese, come Petit Breton, , ricevettero in cambio del cibo, perchè la fame allora annientava il popolo italiano e i nostri ciclisti della prima ora. Come dimenticare lo scherzo fatto dai francesi a Pavese, che ignaro, bevve della purga, versata in una bottiglia di zabaione, rubata, al tavolo del rifornimento. Le ciambelle come provvista alimentare dei corridori venivano infilate nei bracci e all'occasione i ciclisti le mordevano. In Italia si correvano corse anche da 600 km, il Giro di Lombardia, il Giro di Sicilia. Poi nel 1909 venne organizzato dalla Gazzetta dello Sport, il primo Giro d'Italia, vinto dall'italiano Ganna. La sfida tra i team Atala e Bianchi era iniziata un anno prima, potendo annoverare nelle proprie file i primi campioni italiani. Vietato soccorrere i corridori, qualunque fosse l'incidente o il guasto; come quando Ganna, avvelenato da un sugo avariato giunge in ritardo al traguardo, sorretto in bici ed incoraggiato dai fratelli Goi, che correvano solo per sport. Anche la Fiat si ingegnò a costruire le biciclette da corsa ed ebbe anche una sua squadra. La Sanremo incomincia ad affascinare. Si assiste a corse da "guerra", dove nessun colpo viene escluso, neanche i pugni. Gloria, soldi ( i primi che cambiarono la vita povera dei nostri primi campioni), tattiche, rabbia, incidenti, amicizie e lotte in corsa. Arrivò la prima guerra mondiale e tutti al fronte e molti campioni morirono nelle trincee. Diaz consentì ai campioni con la divisa di potersi allenare ed incominciò la leggenda di Costante Girardengo. Pavese terminata la sua carriera di ciclista, salì in auto, a fare il manager e scoprì Binda, Bartali e Coppi, solo per citarne alcuni. Tutti campioni, nel firmamento del ciclismo eroico. Altri tempi, altri uomini. A voi la lettura di questo prezioso libro.
Inizio la recensione, diciamo step by step, il libro lo merita perchè ogni pagina è da incastonare. L'importanza di questo libro, nasce dal fatto, che nelle sue pagine, scritte da Brera, intervistando Pavese, c'è la storia delle origini del ciclismo professionistico italiano, il quale nacque per iniziativa di un gelataio, tale Granida: egli fece iscrivere alcuni ragazzi milanesi, ad una corsa, in piena città, sfruttando la competizione, per fini commerciali; in buona sostanza, fu una corsa clandestina, senza autorizzazione, senza pubblicità e senza vigili a garantire l'incolumità degli spettatori. Ognuno dei corridori si assumeva il rischio e il pericolo per se e la bicicletta, alcune volte prestata, dai primi artigiani, che le costruivano assemblando telai con i pezzi che avanzavano. Una promozione pubblicitaria sul campo di battaglia, perchè quelle prime corse, erano delle vere e proprie competizioni, con tanto di accordi e di strategie. Erano strade, quelle solcate dai primi temerari, dissestate, sulle quali non si riusciva a pedalare; si sfruttavano solo i paracarri, posti lateralmente. Una bicicletta costava dalle 130 lire della Bianchi alle 200 lire delle Raleigh, Peugeot e Goericke; il pane costava diciotto centesimi il chilo; un chilo di carne costava una lira; un operaio comune guadagnava un salario di circa due lire; uno specializzato invece due lire e cinquanta. La storia delle prime biciclette dal peso di circa 16 chili, si intreccia con quella dell'Italia dell'800, povera e provinciale ( direi che nel 2013 nulla è cambiato in tal senso). Tutto ebbe inizio in queste strade cittadine polverose ed insicure. Interessanti e direi enciclopediche le spiegazioni e le sperimentazioni delle prime tattiche del futuro ciclismo, pianificate poco prima e durante la corsa da quei temerari e formidabili ragazzi. Una storia di amicizia perchè la bicicletta , unisce ciò che la vita può dividere. Come quella che nacque tra il muratore Ganna, il Pavese e Galetti: il Bing Bang del ciclismo, quelli del mitico Club Granada di Piazza d'Armi. E tutto si compie in un mondo che moriva, sotto la spinta dell'"umana esaltazione di superarsi", una sfida contro la "mortale stanchezza di uomini", in sella al mezzo "nuovo" inventato per "superare lo spazio". E già all'epoca chi andava in auto ( pochi per la verità), era considerato un "velleitario...troppo distanti dal popolo per sentirne gli umori". I ciclisti di allora erano dei temerari che sfidavano "un tempo che muore", " dall'alto del...sellino" con la "inconscia baldanza di chi segnala nuovi fati al mondo", "perchè la bicicletta" e' "...una ragione d'essere.". Ma l'Italia di allora era molto povera e si correva con la fame che torceva le "budella". Si parla della "cotta", delle conseguenze delle terribili cadute senza casco ovvero la morte sicura, dei tubolari, che all'inizio si montavano solo sulla ruota posteriore e di quelli Continental da 950 grammi . Corse oggi impensabili, senza assistenza, su strade polverose e dissestate. Come quella chiamata XX Settembre, che partiva da Roma, passa a Terracina e arrivava a Napoli per poi ritornare, ripercorrendo la stessa strada, per un totale di 460 km !!! Ma è la Francia la patria del ciclismo, dal quale i ciclisti italiani, impareranno molto. Nel 1903 l'avvocato Henri Desgrange inventa il ciclismo agonistico con il Tour de France e il ciclismo francese d'allora era diviso tra i team della Alcyon e della Peugeot. Già la Francia : con lo zabaione, la maglia con la tasca posteriore, i premi di ingaggio, le banane, la leggenda del Tour, dove apparve la prima salita affrontata in corsa, La Grande Chartreuse, le strade asfaltate, ii ciclisti italiani, gregari dei primi campioni del ciclismo francese, come Petit Breton, , ricevettero in cambio del cibo, perchè la fame allora annientava il popolo italiano e i nostri ciclisti della prima ora. Come dimenticare lo scherzo fatto dai francesi a Pavese, che ignaro, bevve della purga, versata in una bottiglia di zabaione, rubata, al tavolo del rifornimento. Le ciambelle come provvista alimentare dei corridori venivano infilate nei bracci e all'occasione i ciclisti le mordevano. In Italia si correvano corse anche da 600 km, il Giro di Lombardia, il Giro di Sicilia. Poi nel 1909 venne organizzato dalla Gazzetta dello Sport, il primo Giro d'Italia, vinto dall'italiano Ganna. La sfida tra i team Atala e Bianchi era iniziata un anno prima, potendo annoverare nelle proprie file i primi campioni italiani. Vietato soccorrere i corridori, qualunque fosse l'incidente o il guasto; come quando Ganna, avvelenato da un sugo avariato giunge in ritardo al traguardo, sorretto in bici ed incoraggiato dai fratelli Goi, che correvano solo per sport. Anche la Fiat si ingegnò a costruire le biciclette da corsa ed ebbe anche una sua squadra. La Sanremo incomincia ad affascinare. Si assiste a corse da "guerra", dove nessun colpo viene escluso, neanche i pugni. Gloria, soldi ( i primi che cambiarono la vita povera dei nostri primi campioni), tattiche, rabbia, incidenti, amicizie e lotte in corsa. Arrivò la prima guerra mondiale e tutti al fronte e molti campioni morirono nelle trincee. Diaz consentì ai campioni con la divisa di potersi allenare ed incominciò la leggenda di Costante Girardengo. Pavese terminata la sua carriera di ciclista, salì in auto, a fare il manager e scoprì Binda, Bartali e Coppi, solo per citarne alcuni. Tutti campioni, nel firmamento del ciclismo eroico. Altri tempi, altri uomini. A voi la lettura di questo prezioso libro.
In copertina Ganna il vincitore della prima edizione del Giro d'Italia (1909) |
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