giovedì 5 gennaio 2017

Quelli dell'officina. Giuseppe Archetti.

Tutti parlano solo dei corridori e delle loro gesta. Ma ci sono delle persone che lavorano dietro le quinte e dal cui lavoro dipende anche l'esito di una gara, di una stagione, tra le quali i meccanici. Figlio di un meccanico, abituato al grasso e agli ingranaggi, non potevo che condividere con i lettori del blog, l'incontro ravvicinato avuto oggi con Giuseppe Archetti, meccanico della Nazionale di ciclismo su strada e del Team EAU Abu Dhubai, da tempo uno dei più preparati, uno di quelli più abili a regolare la trasmissione della bicicletta, sporgendosi fuori dal finestrino dell'ammiraglia, "ascoltando" la tensione della catena con il vento nelle orecchie, capace di raggiungere i punti più nascosti del cambio, che si trovano sulla parte opposta della bicicletta. In un attimo egli è conscio del rischio, per la sua vita, e di quella del corridore. Solo i migliori meccanici possono e devono farlo. E' stato interessante vederlo comporre una bicicletta crono del team, assemblandola, con consumata maestria, quasi un ripetere costante di un tessitura mirabile, chiamata esperienza. Archetti come ogni buon meccanico, è una persona schiva, abituata a vivere lontano dai riflettori. A lui non è chiesto altro che farle funzionare quelle lucide macchine, silenziose, ma complicate, regolare la straordinaria combinazione di sincronismi, di materiali e di componenti, destinate a resistere alla potenza di un campione. Al meccanico non è concesso sbagliare nei momenti culminati della gara, quando le speranza e le fatiche di un corridore, hanno bisogno della vittoria per il futuro personale e dello sport. E anche lui non può sbagliare. E così nel silenzio dell'officina ho visto Archetti seguire con attenzione ogni movimento, ogni innesto, ogni assemblaggio, un rituale a cui è abituato da molto tempo, e sono sicuro a pensare già alla prossima macchina da preparare prima che giunga la mattina. Il meccanico non ha orari, non ha freddo, non ha caldo, non ha fatica. Il meccanico ha nelle sue mani il futuro di una generazione di corridori. Non c'è tempo per celebrare il passato, non c'è tempo per pensare a qualcosa di diverso, c'è solo il tempo per lavorare, di essere il fulcro di tutto il reparto corse. E quando le biciclette saranno tutte preparate e chiuse nel camion, quando la luna e le stelle lo saluteranno, per un attimo e solo per un attimo, egli si ricorderà di quella volta al Giro d'Italia, al Tour de France, quella volta, tanto tempo fa. Ma sarà solo un attimo. Non c'è tempo per ricordare. Tra non molto sorgerà un nuovo giorno. Chissà se almeno in quel momento Archetti penserà alla stanchezza. 


  

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