venerdì 3 ottobre 2014

Il ciclismo è una scelta esistenziale.

Il mio ciclismo è quello che prende il vento in faccia e non ha paura della strada, senza scroccare la scia, lottando su ogni tornante, ogni chilometro; il ciclismo che amo e pratico è esistenziale, in fuga, da combattente, solo contro tutti; mi piace ascoltare il rumore della catena, il fruscio dei tubolari, il rumore della mantellina, agitata dal vento; credo che ogni ascesa è una preghiera. Il mio pedalare si intona con l'anima, il silenzio, la sommità; temprandomi con la fatica, abituandomi a non mollare mai, andando oltre la sofferenza del corpo,  lottando contro i limiti, senza qualcuno che mi dia il ritmo o mi "copra dal vento". Pedalare con corridori, scelti secondo lo stile " Zitto e gambe"; ma poi ritorna, il richiamo della montagna, il desiderio di scoprire strade lontane, quella voglia di andare via; e allora seguo l'istinto, la mia anima vagabonda. Amo la libertà e cerco di raggiungere il punto più lontano, prima che la vita se ne vada. Un ribelle delle due ruote, come un tempo, quando la bicicletta era bandita dalle leggi italiane (ordinanza del commissario straordinario di Milano del 1898). Ci sono ciclisti che hanno fatto la mia scelta, per carattere, per vocazione; e ce ne saranno molti che lo faranno. Siamo i ciclisti con gli "attributi" in carbonio, quelli sempre in fuga, che non tornano. Giunga a loro, fratelli di "ruota", la mia stima. 

Ogni salita è una preghiera: Monte Grappa, la CIMA.


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